Nonviolenza: dissipare l’ombra di Caino

1 Introduzione

Una riflessione sistematica sulla nonviolenza potrebbe risultare sulle mie labbra, in questo momento, fuori posto. Così pure il tentativo di dare una fondazione biblica al tema della nonviolenza potrebbe apparire troppo presuntuoso. Un argomento del genere non può essere ridotto ad assaggi superficiali o a parafrasi sommarie.

Visto allora che la traccia assegnatami fa riferimento a Caino, penso che non sarebbe tempo perso fermarsi a riflettere un poco su quella pagina emblematica della Bibbia, il cap. 4 della Genesi, dove si parla della irruzione della violenza nella storia della fraternità umana.

Vi dico quale tracciato metodologico seguiremo: leggeremo prima il testo, non è molto lungo. Poi ne faremo un commento molto veloce. E tireremo delle conclusioni operative. Seguirò da vicino, ricalcandolo, un testo fondamentale, al quale sarà bene fare ricorso per ulteriori approfondimenti personali: Dov’è tuo fratello? di Luis Alonso Schökel 2

Forse alla fine diremo che più che dissipare l’ombra di Caino, dobbiamo accoglierla. Perché ci talloni in termini critici. Perché censuri le violenze quotidiane di cui siamo protagonisti. La sua non è un’ombra dalla quale ci dobbiamo liberare. Si dice: «non voglio neanche vedere l’ombra di te» quando uno ci sta sullo stomaco: dissipare l’ombra di Caino potrebbe significare «sotterrarla», proprio come lui ha fatto con Abele. Invece arriveremo ad una conclusione fortissima, e cioè che l’ombra di Caino non dobbiamo scrollarcela di dosso, ma dobbiamo accoglierla. Dio gli mette un segno, gli fa un tatuaggio particolare: «Chiunque t’ammazzerà, ricordati che la pagherà cara». È una pagina splendida della preistoria sacra. Dobbiamo accogliere l’ombra di Caino, e dissipare, semmai, lo spirito di Caino, che è in noi.

Lettura del testo

Il racconto di Caino e Abele è di una incredibile densità emotiva. Vuole rispondere a una delle domande cruciali della storia umana: da dove viene la violenza? perché mai si verifica così spesso quell’adagio che l’uomo è davvero lupo per l’altro uomo?

Diciamo subito che non si tratta di un racconto storico, ma di un racconto delle origini. Cioè Caino e Abele sono dei prototipi, non dei personaggi necessariamente esistiti. L’autore sacro pro­ietta alle origini ciò che si presenta come esperienza generale della vita umana. Noi occidentali quando vogliamo renderci con­to delle cause profonde di certi fenomeni usiamo simboli spaziali, diciamo sempre «alla radice di questo malanno c’è», oppure nel profondo di questa situazione c’è…». Gli orientali invece adotta­no simboli temporali, «in principio», «all’inizio». In questo quarto capitolo della Genesi, in forma narrativa, in chiave simbolica, con personaggi prototipici collocati proprio in tempi primordiali, si vuol dare una spiegazione dell’odio e della violenza fratricida, del perché sorge la violenza, questa tragica esperienza della umanità.

Il racconto è molto lineare: Adamo ed Eva vengono cacciati dal Paradiso. Eva comincia a rispondere del suo nome (Eva infatti significa «madre dei viventi»). Conosce Adamo e genera due figli. La fraternità poi è ridotta esemplarmente a due persone; è un simbolo, un prototipo. La fraternità infatti (e questo è molto im­portante) introduce la differenziazione di cultura (uno è pastore, l’altro contadino), di culto o di altare, e anche di accoglienza da parte di Dio, che gradisce il dono di uno e non gradisce con lo stesso empito di esultanza il dono dell’altro. Ma invece che esser­ci la convivialità delle differenze, come noi definiamo la pace, c’è il rifiuto della differenza da parte di Caino, il quale soprattutto rifiuta l’ultima, cioè che Dio faccia questa discriminazione, ed al­lora cova rancore. Dio interviene con un ammonimento paterno e grave, segno cioè che non accantona, non mette tra parentesi Caino, continua a volergli bene ad accettarlo… Caino non ascol­ta, ammazza il fratello — è il momento più tragico — e Dio inter­viene di nuovo, gli fa un interrogatorio, dice: «dov’è tuo fratello?»; è la domanda culminante di questo capitolo. Caino si scusa, c’è la sentenza, la condanna e poi (la cosa che a me fa senso, bellissima) il limite al castigo: «nessuno ti potrà ammazzare». Caino infatti dice: «Allora chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere» e Dio replica: «No, non ti deve ammazzare». Caino si allontana.

Poi in pochi versi si racconta la discendenza di Caino e l’escalation della violenza. Proprio il quarto capitolo ci vuole rac­contare l’irrompere e la scalata della violenza nella storia uma­na.., che esplode nel canto di Lamech.

Leggiamolo insieme questo capitolo:

Adamo si unì a Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì Caino, e disse: «Ho acquistato un uomo dal Signore». Poi partorì ancora suo fratello, Abele. Ora Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo.

Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacri­ficio al Signore; anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te e il tuo istinto, ma tu dominalo». Caino disse al fratello Abele: ,Andiamo in campagna!». Mentre erano in campagna, Cai­no alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise.

Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il san­gue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». Disse Caino al Signore: «Troppo grande la mia colpa per ottenere perdono! Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo, e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra, e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere». Ma il Signore gli disse: «Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiun­que l’avesse incontrato. Caino si allontanò dal Signore e abitò nel paese di Nod, ad oriente di Eden» (Gen 4, 1-16).

Commento

Vediamo allora di ripercorrere questa lettura.

La nascita di Caino

Eva dà alla luce il primo figlio. La sua è la prima maternità umana. Caino significa «lancia», nome emblematico. «Ho acquistato un uomo dal Signore» è il grido della prima madre. Questo riferimento al Signore è frequentissimo nelle maternità della Bib­bia: basterebbe ricordare Rachele, Lia, le donne sterili… un figlio è una grazia del Signore.

La nascita di Abele

«Poi partorì ancora suo fratello». Ecco appare per la prima volta la parola «fratello», che in questo brano ricorre sette volte. Chi è avvezzo allo studio della Bibbia sa bene il significato pregnante dei numeri. Il fatto che si ripeta sette volte in questo contesto la parola «fratello» mette proprio in evidenza che qui si tratta del comparire della fraternità sulla faccia della terra e, in contemporanea, dell’apparire della violenza. Il secondo figlio si chiamò «Hebel» che significa «alito», «soffio», «vuoto»: qualcosa cioè senza consistenza. È un nome che fissa l’effimero della vita, senza discendenza e senza tempo. È importante il comparire della parola «fratello» per la prima volta accanto al nome proprio Hebel. Vedete, il primo figlio Caino allarga la famiglia in senso verticale (Adamo-Eva­-figlio), il secondo figlio allarga invece la famiglia in senso orizzontale, perché instaura la fraternità (Adamo-Eva-figlio più fratello). Fratello è un nome reciproco: anche Caino diventa fratello, acquista cioè una relazione con la nascita dell’altro. Ci tengo a sottolineare che la parola fratello è adoperata sette volte, perché ci dice proprio qual è l’idea primordiale che soggiace a questo testo. Il tema della fraternità è dunque il tema centrale che si concentra, si densifica in questa coppia archetipa di fratelli.

La differenziazione

La nascita di Caino, la nascita di Abele. La nascita di «lancia» e la nascita del «soffio». Vediamo ora tre differenziazioni.

La prima è una differenziazione di cultura: uno è contadino, l’altro è pastore. Una simile distinzione ci dice subito che il racconto non ha pretese di storia obiettiva. Lo sapete bene che non sono stati i contadini, né i pastori, i primi lavoratori: sono stati i cacciatori. Ma ho detto prima che questo non è un testo storico. Caino, comunque, succedette a suo padre, che era contadino: Dio pose l’uomo nel giardino perché lo «coltivasse e lo custodisse». Caino, succedendo nel mestiere a suo padre, è destinato anch’egli a coltivare il giardino e la terra. Abele, invece, inaugura una nuova cultura, quella del pastore che, storicamente è più antica di quella del contadino.

La seconda differenza è di culto. Il culto è strettamente condizionato dalla cultura. Ogni cultura fa sorgere il culto su misura, e di qui la pluralità di altari. L’autore sacro sembra già intravvedere dei segni molto inquietanti nel fatto che ciascuno presti la sua adorazione a Dio separatamente dall’altro. È da sottolineare questa profonda divisione: perfino nell’aspetto della vita che richiamerebbe maggiore unità, c’è differenza. «Dopo un certo tempo Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso». Caino offre i frutti della terra, Abele il frutto del suo gregge. Tutto normale in apparenza, eppure la diversità tra i due è così profonda che si manifesta nella peculiarità degli atti religiosi.

La terza è la differenza di accettazione da parte di Dio. «Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta…». E qui non immaginate quante pagine siano state scritte dai Padri della Chiesa per difendere Dio, perché sembra quasi che sia il Padreterno a fare le discriminazioni e che quindi le violenze debbano risalire a Lui. Ci sono degli autori che prendono le difese di Caino, con forme paradossali di linguaggio. Altri si sono preoccupati di giustificare la condotta di Dio e liberarlo da ogni accusa di favoritismo e arbitrarietà. Sentite per esempio un commento di Sant’Ambrogio, preoccupato di trovare una colpa in Caino: «…doppia fu la colpa di Caino, la prima, perché offrì con ritardo («dopo un certo tempo»), la seconda, perché offrì i frutti, non le primizie, mentre Abele offrì le primizie» — e conclude Sant’Ambrogio — «il sacrificio si raccomanda per la prontezza e per la generosità; Caino non è stato né pronto né generoso…». Caino quindi, dopo un certo tempo ha offerto i frutti, lo scarto, la seconda scelta, invece Abele ha offerto subito e le primizie. Come avvocato, Sant’Ambrogio ha fatto bene le difese del Padreterno. La risposta comunque più giusta, quella che è accreditata dagli autori, dagli esegeti, sul perché Dio preferisse Abele, sembra la seguente: Dio preferisce Abele perché è il minore (parte dagli ultimi, per fare una traduzione nel linguaggio contemporaneo).

Se cercate nella Bibbia, in molti casi è così: così fu per Isacco nei confronti di Ismaele, come fu per Giacobbe nei confronti di Esaù… Non so se ricordate l’episodio di Giacobbe e Esaù, c’è anche qui un passaggio molto bello che sembra scolpito nella roccia, una roccia vibratile, una roccia che è il grembo materno:

«…Isacco supplicò il Signore per sua moglie, perché essa era sterile e il Signore lo esaudì, cosicché sua moglie Rebecca divenne incinta. Ora i figli si urtavano nel suo seno ed essa esclamò: “Se è così, perché questo?”. Andò a consultare il Signore. Il Signore le rispose: “Due nazioni sono nel tuo seno e due popoli dal tuo grembo si disperderanno; un popolo sarà più forte dell’altro e il maggiore servirà il più piccolo”» (Gen 25, 21-23).

Questa preferenza del Signore per il più piccolo è percettibile continuamente… anche Giuseppe è il più piccolo tra i fratelli, preferito a tutti. Anche Davide è il più piccolo.

In conclusione, la fraternità ha introdotto una triplice differenziazione, di cultura, di culto e di accoglienza divina.

Bisogna accettarla. La differenza va accettata. Non si discute. Noi la discutiamo troppo. Va accettata, non respinta…

La protesta di Caino

Egli non accetta differenze. Il testo dice che «ne fu irritato e il suo volto era abbattuto». È così irritato interiormente e psichicamente, che questa sofferenza si rivela anche sul volto, anche sul piano fisico… Insomma il figlio maggiore è lui o no? Colui che ha un nome più glorioso, non può accettare questo. È succeduto a suo padre, è nato con l’aiuto del Signore… ed allora in Caino sorge un rancore così forte così sordo, che ne è sfigurato persino nel volto…, il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è la tua bramosia, ma tu dominala…». Dio qui dimostra che non ha rifiutato Caino, anzi gli dedica più attenzione che ad Abele, al quale non ha mai parlato. Caino è il primogenito nella preoccupazione di Dio. Dio gli parla benevolmente, mettendolo in guardia dal pericolo del peccato che gli fermenta nel cuore. Lui non è, quindi, rifiutato da Dio. Deve solo accettare la differenza. Ci sono delle indicazioni molto precise in questo passo primordiale. Chi si vuole spiegare l’introduzione della violenza deve ricorrere proprio a questa risposta: la violenza entra perché non si accoglie la diversità. Sembra che Dio dica «Caino, figlio mio, stai attento, non lasciarti dominare dal peccato accovacciato alla tua porta, ma lascia prevalere il sentimento della fraternità».

Il delitto

Qui il racconto precipita con un impeto che corre verso la catastrofe… righe rapidissime. «Caino disse al fratello Abele: andiamo in campagna. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise».

L’uomo che diventa lupo contro l’altro, e l’uccide. Ciò che è tremendo in questo versetto della Bibbia è la descrizione scarna, spoglia, della morte primordiale, della morte violenta. La frase è di una concretezza lapidaria. L’autore ha dato all’atto nefando l’unica espressione che fosse adatta: quella della rapidità. In una parola è descritta la prima morte dell’umanità, che è una morte violenta.

Conclusione

Ogni omicidio è un fratricidio. Nel linguaggio biblico l’insegnamento fondamentale è questo: ogni omicidio è fratricidio. Questo omicidio è accaduto perché non si è voluto accogliere il posto e la funzione del fratello. Quando non accolgo l’altro, compio sempre un omicidio.

Il giudizio di Dio

Dio accusa mediante una domanda fondamentale, che è l’acme di questo racconto. E in questa domanda c’è la parola «fratello»: «Dov’è tuo fratello?». Il problema di Dio, del rapporto con gli altri, si pone come problema sociale. Caino si scrolla di dosso questa schiacciante domanda che gli pesa come un macigno. Domanda che però era anche una grazia che gli veniva offerta da Dio, e che gli avrebbe permesso di rispondere confessando. Ma Caino replica con una bugia e una insolente spiritosaggine… «Non lo so, sono forse il guardiano di mio fratello?». La cosa più grave non è la bugia, ma è grave la rinuncia formale a essere custode del fratello. Allora riprese Dio: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!». È espresso qui l’orrore di Dio per questa azione nefanda. Caino apprende qualcosa che non aveva avuto tempo di capire prima: il cadavere egli lo ha sotterrato, ha coperto la prova del delitto, ma il sangue dell’ucciso ha levato un grido di lamento che ha raggiunto subito il cuore di Dio. Ci sono delle affermazioni di straordinaria potenza. Il sangue e la vita appartengono unicamente a Dio. Quando si uccide, l’uomo attenta al diritto di proprietà di Dio. Il sangue versato non si lascia coprire di terra, ma grida verso il cielo e porta il suo lamento davanti al Signore della vita. Dio solo è custode dell’esistenza umana.

La sentenza

Si sviluppa in tre clausole: «Ora sii maledetto, lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo esso non ti darà più i suoi prodotti. Ramingo e fuggiasco sarai sulla terra».

È una vendetta ecologica. È importante notare la connessio­ne, registrata fin dai primordi dell’umanità, fra i temi della violen­za e i temi del sovvertimento ecologico. «Sii maledetto, lungi da quel suolo…». Caino ha compiuto una semina fatale. La terra ora lo maledice. La punizione di Caino è più terribile di quella data ad Adamo. Ora è il suolo a maledire, è accaduto qualcosa di irrepa­rabile. Qualcosa che l’uomo antico sentiva come orrendo: la terra ha bevuto il sangue fraterno. Caino agricoltore ha seminato una semenza fatale: il sangue del fratello. Adesso, Caino prende co­scienza di quello che ha fatto e prorompe in un urlo di terrore. Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottene­re perdono: ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo ed io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere». È un grido disperato, perché vivere errabondo non gli sembra un alleggeri­mento della sentenza. Avrebbe preferito la morte, piuttosto che differire crudelmente l’esecuzione, facendola pesare senza sosta sulla sua coscienza. C’è un versetto della Bibbia, nel libro dei Proverbi, che dice «Il malvagio fugge anche quando non lo inse­guono»… Caino si sente reo di morte. Se Dio ora non esegue la sua sentenza, allora l’eseguirà un essere umano (è questa la sua paura), è un castigo insopportabile per Caino. Ma ecco l’ultima scena, Dio protettore. Il Signore gli disse: «Però chiunque uccide­rà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato. Il racconto qui ci stupisce davvero perché non si chiude con la scena del fratricidio giudicato. L’ultima parola non è di Caino, ma di Dio che ora pone la vita fallita di Caino sotto la sua rigida difesa. Anche questa vita fallita è ancora proprietà di Dio. Io non so se le logiche della legittima difesa reggono di fronte a questo passo. Per lo meno sono messe in crisi. Anche questa vita fallita è proprietà di Dio e non viene da lui abbandonata. Siamo giunti alla conclusione che nessuno può uccidere. Non si rimedia a una morte aggiungendo altre morti. Dio riserva a sé il diritto alla vita. Le nostre logiche subiscono dei forti scossoni. Possiamo trovare senz’altro delle giustificazioni, addomesticare, addolcire, interpre­tare, contemperare perfino le logiche di morte che sono oggi sul mercato con il testo biblico, ma a me interessa mettere in crisi la vostra coscienza. E questo testo mi sembra il più antico dettato costituzionale sulla nonviolenza.

Appendice

Leggo i dieci versetti della progenie di Caino, escalation ter­rificante della violenza che esplode nel canto di Lamech. Ricorda­tevene sempre di questo canto, anche perché ci offre un aggancio fortissimo col Nuovo Testamento che poi vedremo:

«Ora Caino si unì alla moglie che concepì e partorì Enoch; poi divenne costruttore di una città, che chiamò Enoch, dal nome del figlio. A Enoch nacque Irad; Irad generò Mecuiael e Mecuiael generò Metusael e Metusael generò Lamech.

Lamech si prese due mogli: una chiamata Ada e l’altra chiamata Zilla. Ada partorì Iabal: egli fu il padre di quanti abitano sotto le tende presso il bestiame. Il fratello di que­sti si chiamava Iubal: egli fu il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto.

Zilla a sua volta partorì Tubalkain, il fabbro, padre di quanti lavorano il rame e il ferro. La sorella di Tubalkain fu Naama. Lamech disse alle mogli:

“Ada e Zilla, ascoltate la mia voce; mogli di Lamech, porgete l’orecchio al mio dire:

Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido.

Sette volte sarà vendicato Caino ma Lamech settantasette”.

Adamo si unì di nuovo alla moglie, che partorì un figlio e lo chiamò Set. “Perché — disse — Dio mi ha concesso un’altra discendenza al posto di Abele, poiché Caino l’ha ucciso”.

Anche a Set nacque un figlio, che egli chiamò Enos. Allora si cominciò ad invocare il nome del Signore» (Gen 4, 17-26).

L’autore vuole qui evidenziare lo spirito di selvaggia impla­cabilità che dilacera sempre più profondamente la comunità. La­mech non si accontenta della protezione divina accordata al suo capostipite Caino. Egli avoca a sé l’esercizio della rappresaglia. «Tocca a me, mi vendico io…» e si vendica senza misura «settanta volte sette». Si tratta quindi dello sviluppo del peccato, di una sempre più profonda distruzione degli originari ordinamenti di vita. Quindi dopo la caduta di Adamo ed Eva, dopo il fratricidio, l’uomo preten­de l’esercizio della vendetta che Dio invece aveva riservato a sé. La vendetta diventa smisurata e l’uomo sembra che se ne vanti. È un canto di una protervia unica… «un uomo per una ferita», «un ragazzo, per un livido», una rivalsa maggiorata, «settanta volte sette».

È quindi il dilagare dello spirito di brutalità e di violenza di fronte al quale ciò che fece Caino impallidisce. Attenzione, un semplice aggancio con il Nuovo Testamento. Gesù ha volutamente ricalcato questo testo quando ha pronunciato quella sua sentenza di perdono a Pietro, «…quante volte devo perdonare, sette volte?. Non sette volte ma settanta volte sette… devi perdonare».

Le conclusioni

Sono semplici. Ho voluto farvi percepire come il brivido biblico contro la violenza pervade le pagine del vivere umano. È molto importante che questo stia nelle pagine della preistoria biblica. Se avessimo tempo potremmo sottolineare il dolore di Dio alla vista della crescente violenza sulla terra. Quante volte avete letto l’episodio del diluvio universale.

«La terra era corrotta e piena di violenza» (Gen 6, 11).

«Per causa degli uomini, la terra era piena di violenza» (Gen 6, 13).

Poi sempre nella Genesi troviamo le parole di Dio all’uomo: «domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, ad ognuno di suo fratello…» (Gen 9, 5).

A questo punto sarebbe anche facile sottoporre ad analisi critiche certe nostre risposte tradizionali che abbiamo dato sulla difesa, sulla giustificazione della violenza, della forza armata ecc.; qui sono seriamente minacciate alcune nostre costruzioni ben solide su cui abbiamo sorretto anche tante nostre impostazioni morali.

Nell’Esodo (20, 13) c’è scritto «tu non ucciderai» ed è una formula categorica senza repliche e senza eccezioni. Chiaramente il discorso della nonviolenza attiva trova poi il suo vertice nel «discorso della montagna», e sulle pendici del Golgota, dove Cristo, agnello mansueto, viene condotto al macello.

Come chiusura voglio leggervi il testo di un apostolo della nonviolenza: «…proclamo con la mia autorità e con la mia convinzione nella fede in Cristo e con la coscienza della mia missio­ne, che la violenza è un male, che la violenza è inaccettabile come soluzione dei problemi, che la violenza è indegna dell’uomo. La violenza è una menzogna, perché va contro la verità della nostra fede, la verità della nostra umanità. La violenza distrugge tutto quello che pretende di difendere: la dignità, la vita e la libertà degli esseri umani. La violenza è un crimine contro l’uma­nità perché distrugge il reale tessuto della società. Io prego con voi affinché il senso morale e il convincimento cristiano degli uomi­ni possano non venire mai offuscati e soffocati dalla menzogna e dalla violenza; affinché nessuno possa mai chiamare un assassinio con un altro nome, che non sia assassinio; affinché alla spirale della violenza non si possa mai dare la qualifica di logica inevitabile o di necessaria rappresaglia. Ricordiamo che la parola rimane per sem­pre, “tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada”».

Sono parole di Papa Giovanni Paolo II. Capisco che oggi non si tiene conversazione sulla pace… senza riferimenti critici al ma­gistero e all’impegno di Giovanni Paolo II. Ma se uno facesse la disamina di tutto quello che egli dice, si rimarrebbe sorpresi nel sentire tante cose straordinarie e coraggiosissime. Ai giovani all’autodromo di Monza nel 1983 ha detto (ed è rimasto un testo fondamentale della nonviolenza attiva, è citato moltissimo):

«Aiu­tate i giovani a costruire una società nuova nella quale la vita dell’uomo sia rispettata, salvaguardata, protetta fin dal suo conce­pimento e in tutte le sue tappe successive! Sia ascoltato il gemito di tanti innocenti precocemente eliminati!

Aiutate a costruire un società nuova nella quale i bambini, i poveri non muoiano letteralmente di fame mentre le nazioni opu­lente gettano scandalosamente gli avanzi dei loro lauti banchetti…». Se si potesse fare un appunto, forse sarebbe meglio dire nome e cognome delle nazioni opulente, ma forse non è nemme­no necessario, chi non lo intuisce?… «Aiutate a costruire una nuo­va società, nella quale il pubblico denaro venga devoluto non per la corsa agli armamenti, ma per il progresso sociale dei cittadini, per il loro benessere economico, la loro salute, la loro istruzione!».

Amici miei, anche quando nelle parrocchie qualcuno vi ac­cusa di demagogia, di pacifismo comodo, di vocabolario enfati­co… portate i testi, non di Gandhi, né di Capitini, ma le parole di Giovanni Paolo II… «Aiutate a costruire una società nuova, nella quale il pluralismo delle idee (guardate la convivialità delle differenze) e delle concezioni sia realmente ammesso e rispettato, perché non succeda che chi ha in mano la forza si creda nel diritto di far scomparire o eliminare occultamente, quanti non sono allineati con l’ideologia del potere! Aiutate a costruire una società nuova nella quale la sua continua e ordinata trasformazione non sia affidata all’utopia del terrorismo e della rivoluzione violenta; la violenza — psicologica o fisica — provoca solo lacerazioni, morti, lutti, lacrime! (ricordiamo il periodo anni 60… quando in America Latina c’erano i grandi miti Che Guevara ecc…, si parlava della lotta armata…). Aiutate a costruire una società nuo­va, nella quale i giovani nostri coetanei non siano costretti a cercare nella droga l’illusione della felicità, la droga uccide la giovinezza e i suoi ideali! Aiutate a costruire un società nuova nella quale anche coloro che non possono più produrre o consumare secondo le leggi inesorabili dell’odierna economia consumistica siano rispettati, protetti da leggi adeguate alla dignità della perso­na umana! Aiutate a costruire una società nuova in cui risplenda, si realizzi la giustizia, la verità, l’amore, la solidarietà, il servizio!».

Le frasi sono forti. L’insegnamento del Papa lucidissimo. Ades­so tocca a noi trasferire sul piano della prassi operativa questo grande insegnamento, che ci viene prima di tutto dalla Parola di Dio.

* edizioni la meridiana, 2011.  
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In copertina * Tintoretto – Caino uccide Abele (1550-1552), Accademia di Venezia


Trascrizione (+audio) online | A cura della  Redazione dontoninobello.info


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  1. * Un nome che cambia. La nonviolenza nella società civile, Molfetta, la meridiana, 1989, p. 33-48. Relazione al convegno organizzato dalla Casa per la pace di Molfetta e dal Gruppo Exodus di Milano, svoltosi a Molfetta dal 4 al 6 febbraio 1988.
  2. Luis Alonso Schökel, Dov’è tuo fratello, Paideia, Brescia, 1987.