Al pozzo di Sichar. Appunti sulle alterità

1 Il mio compito è quello di indicare come il Signore ha gestito il rapporto con l’altro, con il diverso, con coloro cioè che non erano riducibili alla sua norma.

Questo rapporto l’ha sfuggito o l’ha cercato? L’ha dribblato o l’ha provocato? L’ha temuto o l’ha desiderato?

E quando è avvenuto il confronto con l’altro, Gesù ne ha rispettata l’identità o l’ha violentata?

Nelle sue relazioni umane con il diverso, prevale in Gesù il «riconoscimento dell’alterità» o la «smania dell’omologazione»?

L’icona di Sichar

Per rispondere a queste domande, faremo ricorso ad una icona biblica tratteggiata nel capitolo quarto di Giovanni, ai versetti 1-44.

È l’icona del pozzo di Sichar. Sichar è una città della Samaria, sorta all’ombra della città di Sichem che un centinaio di anni prima di Cristo era stata distrutta.

Ebbene, fuori della città c’era un podere e presso questo un pozzo. L’aveva fatto scavare Giacobbe «per bere lui coi suoi figli e il suo gregge», come racconta la Genesi (33, 18).

Questo pozzo, unico nella regione, era molto profondo, e ha servito la gente fino a 500 anni dopo Cristo. Campo e pozzo furono dati da Giacobbe, morente in Egitto, in eredità a Giuseppe vicerè. Quattrocento anni dopo, all’uscita dall’Egitto, Mosè fece portare con sé le ossa di Giuseppe e le fece seppellire in questo podere.

Un’altra notazione. La valle in cui il pozzo era stato scavato, si trovava incassata tra due monti. Da una parte il monte Garizim e dall’altra il monte Hebal.

Ebbene, presso questo pozzo un giorno venne a sedersi Gesù, stanco del viaggio che lo stava conducendo dalla Giudea verso la Galilea. E presso questo pozzo avvenne l’incontro memorabile tra Gesù e la samaritana, che ha sempre ispirato la fantasia di molti poeti, pittori e mistici.

Lettura del testo

Prima di procedere alla lettura, è giusto sottolineare due cose.

Anzitutto la samaritana, nella linea della tendenza giovannea a tipizzare i singoli personaggi, è il segno della ricerca di Dio.

In secondo luogo l’utilizzazione che noi faremo del brano giovanneo è estremamente riduttiva rispetto al significato ultimo e misterioso del testo. Cioè il messaggio di Giovanni va ben oltre quello che noi gli faremo dire. Non si restringe, in altri termini, a comunicarci solo il modo di rapportarsi di Gesù nei confronti del diverso.

Quando Gesù seppe che i farisei avevano sentito che egli faceva più discepoli e battezzava più di Giovanni, per quanto non fosse Gesù stesso che battezzava, ma i suoi discepoli, lasciò la Giudea e ritornò verso la Galilea. Egli doveva passare per la Samaria. Ora, arriva ad una città della Samaria chiamata Sichar, vicino al podere che Giacobbe aveva dato al figlio Giuseppe. C’era là il pozzo di Giacobbe. Gesù affaticato com’era dal viaggio, si era seduto sul pozzo, era circa l’ora sesta. Viene una donna della Samaria ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I discepoli infatti se n’erano andati in città a comperare da mangiare. Gli dice la donna samaritana: «Come mai tu che sei giusto chiedi da bere a me che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Le rispose Gesù: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice «Dammi da bere», tu gli avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai neppure un secchio e il pozzo è profondo. Da dove prendi dunque l’acqua viva? Forse si tu più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui e i suoi figli e il suo bestiame?». Le rispose Gesù: «Colui che beve di quest’acqua, avrà ancora sete. Colui invece che beve dell’acqua che gli darò io, non avrà più sete: ma l’acqua che gli darò diverrà in lui sorgente di acqua che zampilla verso la vita eterna». «Signore,  — gli dice la donna — dammi quest’acqua, affinché io non abbia più sete e non debba più venire qui ad attingere». Le dice: «Va’, chiama tuo marito e ritorna qui». «Non ho marito» gli rispose la donna. Le dice Gesù: «Hai detto bene: «Non ho marito», perché hai avuto cinque mariti ed ora quello che hai non è tuo marito. Quanto a questo, hai detto il vero», «Signore — dice la donna — vedo che tu sei un profeta. I nostri padri adorarono su questo monte e voi dite che è a Gerusalemme il luogo dove si deve adorare». Le dice Gesù: «Credimi, donna, che viene un’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete; noi adoriamo ciò che conosciamo,perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene un’ora, ed è adesso, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità; infatti il Padre cerca tali persone che l’adorino. Dio è spirito, e coloro che lo adorano in Spirito e verità devono adorarlo». Gli dice la donna: «So che deve venire un Messia (che significa «Cristo»). Quando quegli verrà, ci annuncierà pgni cosa». Le dice Gesù: «Lo sono io, che ti parlo». A questo punto arrivarono i suoi discepoli e rimasero meravigliati che parlasse con una donna. Nessuno però disse «Che vuoi tu da lei?». La donna intanto abbandonò la sua giara, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto ciò che ho fatto. Non sarà forse lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano verso di lui. Nel frattempo i discepoli lo pregavano dicendo: «Rabbì, mangia!». Ma egli disse loro: «Io ho un cibo da mangiare che voi non conoscete». I discepoli dicevano fra loro: «Che qualcuno gli abbia portato da mangiare?». Dice loro Gesù: «Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e portare a compimento la sua opera. Non dite voi: «Ancora quattro mesi e viene la mietitura»? Ecco, vi dico, alzate i vostri occhi e osservate i campi: sono bianchi per la mietitura. Già il mietitore riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, affinché il seminatore goda insieme al mietitore. In questo caso infatti è vero il proverbio: «Diverso è chi semina da chi miete». Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete faticato, altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». Molti samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna che aveva attestato: «Mi ha detto tutto ciò che ho fatto». Quando i samaritani arrivarono da lui, lo pregavano di rimanere presso di loro e vi rimase due giorni. Furono ancora più numerosi coloro che credettero per la sua parola. Alla donna dicevano: «Non crediamo più per il tuo discorso. Noi stessi infatti abbiamo udito e sappiamo che è veramente lui il Salvatore del mondo». Dopo questi due giorni ripartì di là per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva testimoniato: «Un profeta non gode alcun credito nella propria patria».

Quattro motivi per scandalizzarsi

A lettura finita, potremmo avanzare nei confronti di Gesù quattro capi d’accusa per quest’atteggiamento trasgressivo messo in atto nell’episodio accaduto al pozzo di Sichar.

Ha parlato con una donna. Ha parlato con una samaritana. Ha parlato con una peccatrice. Ha parlato con una scismatica.

Ha parlato con una donna

«Benedetto sei tu, nostro Dio, perché non mi hai fatto né pagano, né donna, né ignorante». Era una formula di ringraziamento che la dice lunga sulla considerazione in cui era tenuta la donna ebrea.

Disdicevole era poi per un rabbino parlare in pubblico con una donna, fosse pure sua moglie.

Per cui la richiesta di Gesù è inaudita per gli usi vigenti al suo tempo. Proprio no. Un rabbì non poteva abbassarsi a tanto, dal momento che la donna era considerata di rango inferiore e tenuta in stato di inferiorità per tutta la vita.

Un detto rabbinico suona così: «Non si deve star solo con una donna in un alloggio, neppure con la propria sorella o con la propria figlia, a causa dei pensieri degli uomini. Non si deve chiacchierare con una donna sulla strada, nemmeno con la propria moglie e men che meno con una donna altrui, a causa dei pettegolezzi degli uomini».

«Ogni volta che qualcuno si intrattiene a lungo con una donna, va incontro a sventura, diserta la parola della thorà e alla fine eredita la Geenna».

Anche Dio, secondo la concezione giudaica, non ha parlato, evitandolo, con donne, ma solo con uomini. Per cui la donna non ha bisogno di conoscere la thorà. Rabbì Eleazaro diceva: «Sarebbe meglio che la legge andasse in fiamme, piuttosto che essere data in mano alla donna»

Sicché, pur annoverando l’insegnamento religioso tra i principali doveri di un genitore ebreo, si riteneva che l’obbligo di istruzione religiosa risultasse impegnativo nei confronti dei soli figli maschi. L’espressione del Deuteronomio: «Insegnerete la thorà ai vostri figli» (11, 19) veniva assunta in senso restrittivo, come se fosse scritto «ai vostri figli, non alle vostre figlie».

Pertanto, secondo la tradizione rabbinica gerosolimitana, chi insegnava la scrittura alla figlia, «era come se le insegnasse oscenità».

L’atteggiamento di Gesù, quindi, che parla con una donna, è fortemente trasgressivo, al limite dello scandalo. Di qui il versetto 27: «giunsero i discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna». Nessuno, però disse: «che desideri?» o «perché parli con lei?».

Il segno di questa trasgressione è percepibile anche nel tentativo di alcuni traduttori che introducono delle varianti. Taziano e quelli della sua scuola traducono non «che desideri?», ma «che vuole quella lì?» proprio per non fare apparire Gesù come colui che prende l’iniziativa con una donna.

Un fatto è certo. I discepoli sono sorpresi che Gesù parli con una donna, non tanto che parli con una samaritana.

Ha parlato con una samaritana

Ed eccoci alla seconda trasgressione di Gesù, non meno grave della prima. Al limite dello scandalo anch’essa. Della prima trasgressione hanno dato la misura i discepoli. «Si meravigliarono che parlasse con una donna». Della seconda trasgressione dà la misura la donna stessa: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una samaritana?».

E poi l’evangelista continua: «In realtà i Giudei non mantengono buone relazioni con i Samaritani».

Per quale motivo?

Fondamentalmente perché quando gli Assiri, intorno al 700 a.C., invasero la Samaria e ne deportarono la popolazione scelta, in quella zona vennero inviati dei coloni assiri (2 Re, 17). Questi, col passare del tempo, si fusero con la popolazione ebrea rimasta, dando origine a una razza mista che, naturalmente, mischiò anche le credenze.

Samaria, perciò, era la regione eterodossa, razza di sangue misto e di religione sincretista.

Bastarda, insomma! Sicché chiamare qualcuno col nome di samaritano era uno dei peggiori insulti. Anche Gesù venne insultato con questo nome dai Giudei «tu sei un samaritano e un indemoniato» (Giov. 8, 48).

L’odio dei Giudei per i Samaritani traspare bene da questo feroce detto rabbinico: «Chi mangia pane dei Samaritani, è come uno che mangi carne di cane».

E chi beve l’acqua? Che assurdo scandaloso che Gesù abbia chiesto a una samaritana: «dammi da bere!».

Un giudeo autentico avrebbe accettato volentieri qualsiasi privazione piuttosto che toccare con le sue labbra l’orlo di un vaso dal quale avesse bevuto prima un samaritano.

I Samaritani erano ritualmente impuri. Un regolamento giudaico ammoniva che non si potesse mai fare assegnamento sulla purezza rituale delle donne samaritane, giacché esse avevano mestruazioni fin dalla culla. Quindi erano intoccabili e inavvicinabili, per un giudeo, secondo quanto sta scritto in Levitico 15, 19: «Quando una donna abbia un flusso di sangue cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni. Chiunque la toccherà sara immondo fino alla sera».

E’ davvero il colmo della trasgressione che Gesù accetti di bere al secchio di una donna malata d’impurità!

Ha parlato con una peccatrice

Questa donna ha avuto cinque mariti e, attualmente, conviveva con un amante. Una situazione a dir poco immorale.

Se i cinque mariti con cui ha vissuto siano morti o ella se ne sia separata, non ha molta rilevanza. Sta di fatto che, secondo la concezione giudaica, ci si poteva sposare al massimo tre volte. Una precisazione rabbinica suonava così: «Se era sposata a un primo ed è morto, a un secondo ed è morto, non dovrà sposarsi a un terzo».

Rabbi Gamaliel aumentava di uno questo limite: «Potrà sposarsi a un terzo, ma non a un quarto».

Il quinto matrimonio era agli occhi degli ebrei un peccato, e l’attuale relazione della samaritana con un sesto individuo costituiva un vero adulterio e una vergognosa vita di colpa.

Possiamo supporre che anche i Samaritani considerassero illecito contrarre matrimonio così ripetutamente.

Ci troviamo senz’altro dinanzi a una donna irrequieta, che ha varcato i limiti del buon costume già sposandosi una quarta e una quinta volta, e che travalica ogni segno convivendo nei legami manifesti dell’adulterio.

Una donna rotta a ogni avventura

E chi sa che la sua smania liberativa non giunga al punto, come sostiene qualche interprete, che rispondendo a Gesù «non ho marito» non volesse ammiccare a progetti matrimoniali su di lui.

Ebbene, Gesù sa della situazione peccaminosa di questa donna e gliela rivela. Ma non si astiene dal parlare con lei. E si intrattiene in discorsi di alta spiritualità, senza quel disagio che potrebbe provare, ad esempio, un arcivescovo che si fermasse sulla statale 98 a parlare con «una di quelle» e a spiegarle magari una pagina dell’Imitazione di Cristo! 

Come stile trasgressivo mi pare che Gesù raggiunga il culmine.

Ha parlato con una scismatica

L’odio tra Giudei e Samaritani non derivava solo da ragioni politiche o razziali, ma aveva anche profonde ragioni religiose.

Era successo sostanzialmente questo. Quando, dopo il ritorno dall’esilio, gli ebrei ricostruirono il tempio di Gerusalemme, i Samaritani non vi presero parte.

In un primo tempo avevano chiesto di unirsi anche loro nella costruzione, ma furono villanamente respinti. Sicché cominciarono a boicottare in vari modi la ricostruzione. Anzi si costruirono essi stessi un tempio sul monte Garizim.

Un vero e proprio scisma. Contornato da risentimenti ancestrali. E da un odio mortale, che raggiunge il vertice quando, nel 128 a.C., i Giudei distrussero il tempio samaritano del monte Garizim.

Centoquarant’anni dopo (nel 9 d.C.) alcuni samaritani avevano profanato il tempio di Gerusalemme durante le feste di Pasqua, spargendo ossa umane negli atri. Per questo fu loro proibito l’accesso al tempio.

«Dove stai andando?» chiese un samaritano a un venerando maestro. «Ad adorare in Gerusalemme» rispose quegli. «Non sarebbe meglio pregare in questa santa montagna che in quel letamaio?», lo schernì.

Ecco il clima che si respirava, e che dava il tono della guerra di religione a ogni rapporto fra Giudei e Samaritani.

Odi, insulti, violenze, discredito, scomuniche reciproche.

Ne sono segno anche certe battute degli apostoli. Essendo stati rifiutati da un villaggio di Samaritani, proprio perché erano diretti a Gerusalemme, Giovanni e Giacomo dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» (Lc. 9, 54). Ma Gesù, che non era intollerante come i suoi discepoli, li rimproverò.

Questo era, comunque, il clima che respirava anche Gesù. E lo colse a volo nelle parole della samaritana che gli chiedeva: «I nostri padri hanno adorato Dio, sopra questo monte, e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».

Vedremo tra poco il senso della risposta di Gesù. Per ora ci basta mettere in risalto, ancora una volta, il suo atteggiamento trasgressivo, visto che si mette a colloquiare con una persona pesantemente discriminata (e perciò esecrabile) anche sul piano religioso.

Gesù di fronte all’alterità

Possiamo dire che la samaritana è la concentrazione delle alterità. O per lo meno delle alterità più emergenti.

L’alterità sociale, che non è solo anagrafica. Perché l’essere donna, ai tempi di Gesù, non è solo una diversità anagrafica, ma anche culturale, giudaica.

L’alterità razziale. E’ una samaritana. Spregevole, quindi, per un ebreo nella cui mente veniva introdotto con forza il concetto di superiorità.

L’alterità morale. E’ una «poco di buono». Che, per giunta, si confronta con un uomo di Dio.

L’alterità religiosa. Appartiene ad un’altra parrocchia. A un’altra confraternita.

E’ un simbolo. E’ per questo che non ha un nome proprio.

Ed è un simbolo anche delle alterità più vistose con le quali anche noi oggi ci confrontiamo.

E’ per questo che l’atteggiamento di Gesù può offrirci un forte paradigma comportamentale.

Paradigma che può essere descritto con questi tre segmenti: Gesù rende questa donna, questa straniera, questa poco di buono, questa scomunicata:

— protagonista di scambio e non semplice beneficiaria di un dono;

— destinataria di una grande rivelazione di salvezza e non semplice terminale di parole consolatorie;

— soggetto di missione «ad gentes» e non semplice spazio di annuncio.

Protagonista di scambio

Dammi da bere. L’incontro comincia con una richiesta di Gesù che, essendo uomo, è solidale con tutte le necessità dell’uomo.

Chiede una dimostrazione di solidarietà al livello umano più elementare, che unisce gli uomini al di sopra delle culture e delle barriere politiche, razziali, spirituali, religiose. E’ come se dicesse: «Io sono come te».

Dare acqua, elemento scarso e quindi prezioso, era un segno di accoglienza e ospitalità. Chiedendola, stanco del cammino, Gesù chiede di essere accolto in Samaria.

Gesù che va mendicando un sorso d’acqua, si mette al livello dell’altro. Gli dice: tu mi puoi aiutare. Ho bisogno di te. Mi puoi dare una mano.

E, nello stesso tempo, afferma la sua disponibilità a corrispondere con un favore anche più grande. «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti chiede da bere, saresti tu a chiederne a lui e ti darebbe acqua viva».

Ecco, qui è affermata la legge forse più importante che può farci superare i guasti della diversità: la reciprocità del dono.

Questa legge noi la conosciamo poco. Siamo bravi solo a dare. Mai a ricevere. Che cosa può darmi un terzomondiale, se non un pericolo di infezioni?

Quando capiremo che l’altro, il povero, non chiede aiuto, ma chiede scambio?

Quando capiremo che dare la pelle per i poveri o lasciarsi scorticare vivi per loro vale meno che mettersi sulle spalle una camicia che ci è stata da loro regalata?

Destinataria di rivelazione

Intanto Gesù le rivela la povertà e l’insufficienza dell’acqua del pozzo di Giacobbe. Questo pozzo rappresenta la legge antica, i vecchi schemi, i particolarismi rituali, le tradizioni di una civiltà che ormai si è sclerotizzata e si è chiusa nella difesa dei suoi valori.

Chi beve di quell’acqua ha sete di nuovo. L’acqua che dà Gesù, invece, non darà più sete in eterno.

E’ un’acqua interiore. Non sgorga dalla roccia, come nel deserto. E’ lo Spirito Santo, gemente nel cuore di ogni uomo che accoglie Gesù. Essendo, allora, in tutti la stessa acqua, si crea l’unità fra tutti.

Il tema centrale, pertanto, di questa pagina giovannea, è quello dello Spirito simboleggiato dall’acqua che Gesù dà, infondendo nell’uomo una nuova vita.

Lo Spirito Santo stabilisce la relazione con Dio come Padre, escludendo ogni particolarismo discriminatorio.

In secondo luogo viene rivelata a questa donna la sparizione degli antichi culti e templi, sostituiti dall’amore leale per l’uomo.

Culto samaritano o culto giudeo? Non si tratta di scegliere tra le due possibilità storiche. Anche il tempio di Gerusalemme si è prostituito ed egli ne ha già annunciata la fine.

Gesù parla di un cambiamento radicale.

E’ finita l’epoca dei templi. Il culto di Dio non avrà luoghi privilegiati. Il Dio della legge aveva creato disuguaglianze, discriminazione, inimicizia tra i popoli fratelli.

Il Dio Padre, che dà vita e ama l’uomo, fa cadere le barriere, perché egli non dà il suo figlio a un popolo privilegiato, ma al mondo intero.

Gesù rivela, quindi, alla samaritana la forza unificante dello Spirito e il superamento dell’alterità nella contemplazione del Padre.

Soggetto di missione

Quella donna, intanto, «lasciò la brocca, andò in città, e disse alla gente: venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?».

Abbiamo qui l’immagine di ciò che significa missione (lasciare la brocca, andare in città, e dire alla gente: venite a vedere).

Abbiamo anche l’immagine della discrezione che deve caratterizzare ogni gesto missionario. Quando ci si confronta con gli altri non è ammissibile l’intolleranza, e neppure l’accaparramento, e neanche la smania dell’omologazione sia pure a fin di bene.

Invece la delicatezza, l’allusione, l’invito: «venite a vedere… che sia forse il Messia?».

E infine abbiamo l’immagine plastica di quello che i vescovi dell’America latina, anni fa, a Puebla hanno chiamato, con una frase pregnante, «il potenziale evangelizzatore dei poveri».

E’ la scomunicata, l’adultera, l’eretica, l’emarginata che diventa annunciatrice di un dono di salvezza.

La faziosità giudaica aveva respinto i Samaritani ai margini del disprezzo. Gesù esprimerà il suo controrazzismo con una accentuata simpatia verso la Samaria. E coglierà da questi «bastardi» le testimonianze più intense di umanità:

— il samaritano lebbroso che, solo tra dieci, torna a ringraziarlo.

— il buon samaritano, anonimo anche lui, campione oscuro e luminoso di quell’amore nel soccorrere gli altri che è il centro della rivelazione del Vangelo.

Un monito fortissimo per tutti. Perché sappiamo metterci di fronte all’alterità con atteggiamento di gioia, di accoglienza e di speranza.

Conclusione

Il Vangelo di Giovanni dice che i Samaritani pregarono Gesù perché si fermasse da loro. Ed egli vi rimase due giorni. E molti dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo».

Io voglio pensare che la samaritana non si sia sentita minimamente offesa quando i suoi concittadini le hanno detto «Non è più per la tua parola che abbiamo creduto».

Penso invece che quella sera, tornata a casa, non sia riuscita a prendere sonno per una eccedenza di felicità. E immagino che, con gli occhi spalancati, profondi come la notte, sul suo giaciglio non più insozzato dagli abbracci dell’adulterio, si sia a lungo fermata sulle parole udite a mezzogiorno «L’acqua che io ti darò diventerà in te sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna».

Allora avrà pianto di tenerezza, questa giovane acquaiola, la cui arsura struggente della gola e quella procace della carne era stata spenta per sempre all’ora sesta presso il pozzo di Giacobbe.

Avrà pianto di gioia perché era diventata titolare di un’acqua che veniva da lontano: «L’acqua che io ti darò». No, non era acqua sua, di quella attinta tutti i giorni, con la vecchia brocca rimasta presso il pozzo, muta testimonianza di una riconciliazione radicale con l’altro. Lei donna, riconciliata con l’uomo. Lei samaritana, col giudeo. Lei peccatrice, col giudeo. Lei eretica e scismatica, con l’uomo di Dio e profeta.

Avrà pianto di tenerezza, perché quel giorno non era stata violentata nella sua identità. Identità che, anzi, veniva ricondotta ai suoi spessori più autentici, più veri e più profondi.

Ma avrà pianto di tenerezza, soprattutto, perché l’altro, a lei così diversa, quel giorno le aveva chiesto qualcosa. E l’aveva ritenuta finalmente degna di poterlo aiutare: «donna, dammi da bere».

* edizioni la meridiana, 2011.  
Google Ricerca…
In copertina * Guercino – Cristo e la Samaritana (1647), National Gallery of Canada


Trascrizione online | A cura della  Redazione dontoninobello.info

 

 

  1. * Il confine inviolabile. La non violenza e il bisogno di identità, Molfetta. La Meridiana, 1991, p. 25-40. Relazione al Convegno svoltosi presso il Pontificio Seminario Regionale di Molfetta nel febbraio 1990.