Santa Maria dell’abbondanza

“Eccomi, sono la tua serva, Signore:
si faccia di me secondo la tua parola”.
Come dire:
“Tutto quello che scegli per me, va bene;
lo sottoscrivo, firmo in bianco,
perché so che vuoi il mio bene” .

1  Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. La pace di Gesù risorto sia con tutti voi.

Ringraziamo il Signore per averci convocati, questa matti­na, in un tempio così splendido, di fronte al quale non regge il paragone la più grande basilica del mondo: questo tempio all’a­perto, senza colonne, senza tetto, senza pavimento, senza lam­pade se non quella del nostro cuore, e il tetto del cielo… e un pavimento d’erba, d’asfalto…

Qui adoriamo il nostro Dio in spirito e verità. Soprattutto disponiamoci ad adorarLo nel tempio vivo del nostro fratello, e specialmente in colui che più soffre, come ha fatto Maria in abbondanza.

Dio non sotterra, distrugge i peccati

Chiediamo perdono al Signore per tutte le nostre controtestimonianze, per le nostre vigliaccherie quotidiane, giacché tutti abbiamo un sacchetto da lasciare alla prima curva… Vorremo metterlo chissà in quale inceneritore, perché il Signore distrugga tutte le nostre colpe; e lui lo fa, se noi gli chiediamo perdono, adesso.

Davvero: il Signore ci perdona, ci libera da tutti i peccati e non si ricorda più delle nostre colpe, perché Dio soffre di amnesia per i nostri peccati perdonati… Non se li ricorda più!

Non li sotterra: li distrugge. Come avviene nel computer quando si distrugge la memoria. Così il Signore ci perdona: restituendoci a novità.

RingraziamoLo allora per questo accordo di fiducia totale, e chiediamoGli perdono insieme.

Ripetiamo: Signore, perdonaci. Gesù, abbi pietà di noi. Spirito Santo, donaci la libertà!

Ora et labora: mettiti al servizio

Stiamo celebrando la Messa di Maria, serva di Dio e degli uomini, in una giornata particolare. Oggi il calendario liturgico ci ricorda la festa di san Benedetto, patrono d’Europa. È stato invocato così da Paolo VI nel 1964: patrono di tutta l’Europa.

E noi san Benedetto lo ricordiamo soprattutto perché è il padre del monachesimo occidentale. Ha fondato un grande monastero a Montecassino. Tantissimi monaci si sono radunati intorno a questo motto: ora et labora. Prega e lavora.

A me sembra molto bella questa concomitanza fra la celebrazione di Maria, serva di Dio e degli uomini, e la festa di san Benedetto che ci ricorda il suo motto: questa frase che dovremmo portare a casa con noi come motivo ispiratore di tutte le nostre scelte, e non soltanto di quelle di quest’oggi, ma di tutta la nostra vita. Ora et Labora, cioè prega e lavora: mettiti al servizio.

La Madonna questo ha espresso nella sua vita.

Per essere uomini e donne di preghiera

Abbiamo ascoltato una pagina bellissima del Vangelo: l’annuncio dell’Angelo a Maria. E abbiamo anche sentito come si conclude: «Eccomi, sono la serva del Signore: si faccia di me secondo la tua parola». «Sono la serva del Signore». Ecco: ora, prega cioè. Perché pregare non significa macinare avemarie, consumare tutti i grani del rosario e poi essere lontano dalla legge del Signore: fare la doppia vita, fare delle scelte di comodo, egoiste. Pregare significa soprattutto aderire alla volontà di Dio, dichiararsi servo di Dio: mettere in pratica il Vangelo, entrare nella logica del Vangelo, che è logica di povertà, logica di accoglienza, logica di servizio, logica di abbandono, logica di fiducia, logica di accoglimento, logica di festa, logica di speranza, logica di carità. Logica di speranza… soprattutto nei momenti difficili: quando le cose vanno di traverso; quando la salute non c’è più;  quando i debiti ingrossano e le preoccupazioni dello spirito anche; quando tuo figlio bazzica compagnie che non sono proprio quel­le che avresti desiderato; quando i rapporti con tuo marito non vanno come dovrebbero andare; quando all’interno dei tuoi rap­porti con gli amici, coi vicini di casa, ci sono delle spine che ti rendono la vita difficile…

Coltivare la speranza significa non darsi per vinto; significa sapere che Dio è più forte di tutti i nostri problemi; che alla fine la spunta; che la morte non è l’ultimo capitolo della vita… que­sto significa.

Questa è la logica del Vangelo, la logica delle beatitudini, questo significa essere uomo o donna di preghiera come lo è sta­ta Maria: non tanto accendere le candele e andar dietro le pro­cessioni…

Voi state facendo una grande festa, sabato e domenica que­sto vostro contenimento interiore esploderà anche all’esterno, ed è bellissimo; però sapete bene che non dipende dal numero di candele che avremo acceso alla Madonna dell’abbondanza che il Signore ci darà il perdono di tutte le nostre colpe e ci accoglierà nel suo Regno.

Ci accoglie sulla base della nostra vita di preghiera, di que­sto nostro affido tra le Sue braccia.

Come Maria: «Eccomi, sono la tua serva, Signore: si faccia di me secondo la tua parola».

Come dire: «Tutto quello che scegli per me, va bene: lo sot­toscrivo, firmo in bianco, perché so che tu non vuoi il mio male, che anzi vuoi il mio bene, e anche quando attraverso un tunnel pericoloso della vita, quando attraverso una galleria oscura, tan­to da sembrare che il sole non debba spuntare più e che di luce non ce ne sia più per me, anche in quel momento so, Signore, che mi aspetti all’uscita dalla galleria: stai lì, pronto a prender­mi per mano. Macché: stai anche all’interno della galleria, del tunnel: e mi precedi, mi accompagni, mi segui, mi stai accanto, mi stai dentro…».

Questo significa pregare, questo vuol dire essere uomo di preghiera: essere intriso, cioè, di questa mentalità che fa affidamento grande alla benevolenza del Signore.

Pregare, ovvero seguire la logica del Vangelo

Quindi pregare significa seguire la logica del Vangelo, met­terlo in pratica: non soltanto tenerlo in bella mostra in casa. Metterlo in pratica e leggerlo, perché non possiamo adeguarci alla volontà del Signore se il Vangelo non lo conosciamo, se non lo leggiamo continuamente. Starei per dire che un cre­dente, un cristiano che ogni giorno non legga una pagina del Vangelo, è un cristiano molto scadente, è un cristiano di serie B, per utilizzare un’immagine che oggi circola non soltanto nel mondo sportivo.

La Vergine, invece, ce la spezzi in abbondanza la Parola del Signore.

Due anni fa dovevo andare a Roma per parlare nel corso di un convegno molto importante. Ad attendermi c’erano tutte le Madri Generali degli ordini religiosi più rilevanti: seicento monache, ed io dovevo parlare loro. Siccome non avevo avu­to la possibilità di una preparazione accurata nei giorni prece­denti, calcolavo di organizzare i miei pensieri in viaggio. Ave­vo tutta la nottata da trascorrere in treno e sapevo che quella corsa in partenza da Molfetta alle undici di notte andava qua­si deserta. Mi sono scelto uno scompartimento tutto per me, ho chiuso le tendine, ho tirato fuori i libri che avevo in borsa e mi sono messo a studiare, a prendere appunti.

Dopo un quarto d’ora, però, si riapre la porta e s’introduce un signore: «Buona sera – ha detto –. Lei è il Vescovo di Mol­fetta?».

Gli ho risposto di sì.

«Oh – ha esclamato –, adesso trasferisco i miei bagagli qui da lei, così chiacchieriamo».

Io volevo fargli capire che.forse sarebbe stato meglio che se ne stesse nel suo scompartimento perché dovevo studiare, ma mi sembrava molto scorretto.

Dopo due minuti questo signore è ritornato con tutte le sue valigie, le ha sistemate nella parte alta dello scompartimento, si è seduto e ha interrotto naturalmente, con mia grande diffi­coltà, il mio impegno.

Ha cominciato a parlare. Ha detto di essere un marittimo originario di Molfetta. Era rientrato a casa perché la sua bam­bina di dieci anni aveva fatto la Prima Comunione. Ora riparti­va, diretto a Livorno, e sarebbe ritornato dopo sei mesi.

Ha cominciato a dire tante cose: era simpaticissimo! Ha par­lato di film, di calcio, di donne, di amori: era proprio un tipo esuberante, molto allegro.

Raccontava barzellette… Non era uno col collo torto, non era un bacchettone: me ne accorgevo chiaramente. Io lo lascia­vo parlare sperando che, stancandosi, potesse addormentarsi e consentirmi così di tornare a studiare.

Dopo un po’ mi ha detto: «Lo sa che, quando facciamo le grandi traversate in nave, appena mi libero dal lavoro mi met­to a leggere il Vangelo?». Io ho pensato che mi dicesse queste cose per tenermi su: insomma, sapeva che ero il suo Vescovo…

Inizialmente non ho dato molta importanza. Per questo ha incalzato: «Vedo che non ci crede molto…».

Si è alzato, ha preso una valigia, l’ha poggiata sul sedile, l’ha aperta e… cosa c’era sotto le striscette che reggevano il contenuto ? Un bel libro: Il Santo Vangelo di Nostro Signore Gesù Cri­sto.

L’ha preso, l’ha aperto ma non dalla prima pagina, dall’ulti­ma. C’era scritto a penna: finito di leggere la prima volta il 15 luglio 19.. presso le acque del Mar Egeo; finito di leggere la seconda volta presso la Stretto di Gibilterra il 5 ottobre 19..; finito di leggere la terza volta… e poi il testo era tutto sottoli­neato…

Allora mi sono reso conto che la felicità umana che sprizza­va dalla sua persona, quella sua pienezza, tutto quel suo amore per la vita… per la Chiesa, per la figlia, per la moglie, per la casa, per i compagni, per la storia, per lo sport… derivavano da un’anima fortemente intrisa della Parola di Dio.

Ha continuato a parlare, a parlare… a parlare…, ed io l’ho ascoltato – questa volta – con molta attenzione: fino all’alba, fino a quando siamo arrivati a Roma.

E vi dico che, alle suore, per prima cosa ho raccontato que­st’episodio, e non mi è mai riuscito di parlare così bene come in quella circostanza, perché mi ero caricato al contatto con una per­sona del popolo, uno come voi: non era un prete, non era un vescovo, non era un frate, non era una suora. Era uno del popo­lo: un marittimo che, a contatto con la vita dura, riusciva ugual­mente ad amare la sua famiglia, la sua storia perché la Parola del Signore guidava veramente i suoi passi.

L’ho già detto: non era un bacchettone! Perché noi qualche volta il credente lo confondiamo con colui che dice orazioni a tutto fiato e poi, nella vita, non rende come dovrebbe, non è aggiornato come gli altri, non è pronto a difendere i poveri, non prende la parola in pubblico per portare avanti un’idea, rischiando anche di persona, rischiando anche il linciaggio morale. No… questa era una persona veramente audace!

Dire “eccomi” con le labbra e con la vita

Questo significa pregare! Infatti lui mi ha detto che pregava moltissimo.

Si prega anche con gli occhi – lo sapete? –, si prega con le orecchie… adesso voi state pregando perché avete ascoltato la Parola del Signore e state prestando attenzione anche all’ela­borazione della stessa. State ascoltando e quindi state pregan­do.

Non si prega soltanto con le labbra: si prega con gli occhi, si prega con le orecchie, si prega con la vita.

La logica del Vangelo, la logica del perdono, la logica del servizio sono preghiera.

Maria dice: «Eccomi, sono la Serva del Signore: avvenga di me quello che hai detto». Subito dopo San Luca continua annotando che Maria, alzatasi, si mette in viaggio verso la montagna e raggiunge in fretta la città per andare a trovare Eli­sabetta.

Dopo aver detto: «Ecco, la Serva del Signore», Maria va a fare la serva della gente, la serva del popolo, la serva del fratello, della sorella.

Va a fare la serva degli altri: la serva del mondo; perché non basta essere serva del Signore, bisogna mettersi anche al servizio dei fratelli; perché non ha significato mettersi soltanto al servi­zio del Signore senza sperimentare poi un versante concreto di servizio nei confronti del fratello che ti sta accanto, che ti passa vicino con i suoi problemi; come pure non ha significato met­tersi al servizio dei fratelli – degli Albanesi, dei Marocchini, dei Tunisini, dei poveri, dei tossici, dei malati di aids, dei malati ter­minali, degli spastici – se il nostro cuore è staccato da Dio: farem­mo soltanto filantropismo, saremmo buoni, saremmo generosi… ma non credenti.

Il Signore terrà conto anche di questo – perché non credo che sia così ingeneroso da non accorgersi della capacità di donarsi –, però non è carità cristiana.

Servire con audacia

La carità cristiana si esprime diventando servi di Dio, servi della logica del Vangelo e poi mettendosi al servizio della gen­te, dei fratelli, come ha fatto Maria affrontando, anche in ter­mini di grande concretezza, il servizio umano. E da sola: una ragazzina di quattordici-quindici anni che affronta i pericoli della strada… perché Maria era molto emancipata, non era la santarella tutta casa e sinagoga, quieta quieta, incapace di inci­dere nella vita sociale. Maria era una donna molto forte, mol­to agile: si mette al servizio dei fratelli dopo aver affrontato i percoli della strada, il pericolo delle dicerie pubbliche, il peri­colo che affronta chi sa di scavalcare certi moduli di compor­tamento che non permettono ad una ragazzina scelte così audaci.

Va a mettersi al servizio di una sua parente, di sua cugina, della gente. Ecco perché Maria la invochiamo come serva del mondo.

Noi la invochiamo, oggi, come serva di Dio e serva del mon­do, perché partecipi pure a noi questa sua incredibile qualità: ci faccia diventare più servi di Dio e più seguaci del Vangelo; ci faccia entrare nella logica fortissima del Vangelo, che è logica di audacia. Non è la logica dell’appiattimento, della rassegna­zione, del lasciar fare agli altri.

Maria non è una donna rassegnata. E colei che non si adat­ta alla rassegnazione!

C’è un passo molto bello di un’omelia che Giovanni Paolo II ha proposto in un santuario messicano. Il Papa dice che Maria è la donna che non si rassegna: non si rassegna alle condizioni dif­ficili del suo popolo. Infatti, quando raggiunge Elisabetta, di cosa parla, cosa canta? Lo ascoltiamo nel Magnificat. Parla di rove­sciamenti: troni che cadono, poveri che salgono; quanti sono vilipesi, schiacciati, affamati, vengono ricolmati di beni; coloro invece che si sentono forti, potenti, che pensano di avere arbi­trio ed egemonia sui poveri, vengono catapultati dalle loro posi­zioni di prestigio. La Madonna parla di rovesciamenti, di cam­bio rivoluzionario.

Capite? Maria è tutt’altro che una donna rassegnata.

E questa è la logica del Vangelo: essere servi del Signore significa diventare eversivi, persone scomode anche all’interno di una comunità cittadina; persone che cioè danno fastidio, che disturbano il manovratore.

Entrare nella logica del Vangelo, essere servo del Signore, essere uomo di preghiera significa essere sempre difficilmente omologabile alla struttura: spina conficcata nel fianco della buona coscienza pubblica.

Essere credente come Maria, servo del Signore come Maria, donna di preghiera, uomo di preghiera come Maria, significa essere guardato sempre con un po’ di sospetto da parte di tutti, perché… «non si sa mai questo qua dove va a parare».

Invece noi pensiamo che essere uomo di preghiera significa acquattarsi nel perimetro di una chiesa, nel calore di una stan­zetta, accanto ad una brace d’inverno, e recitare il Rosario. Che ci vuole, perché alimenta la fede, la speranza e la carità, ma non esaurisce tutta la nostra vita di fede, di speranza e di carità.

Ecco, serva di Dio: «Ora», cioè prega, ma poi «labora», met­titi al servizio.

La Vergine Santa dia a tutti noi questa grande capacità di metterci al servizio degli altri, dei fratelli, senza aspettarci nulla, neppure il «grazie»: sì, perché qualche volta i nostri servizi in favore dei fratelli sono più per smania di passerella, di pro­scenio, di palcoscenico; sono un apparire perché si dica che sia­mo bravi, che siamo presenti, che siamo attenti al bisogno altrui. È vero, qualche volta succede!

Senza attendere nulla

Forse avete sperimentato anche qui, nella vostra cittadina, dico a Cursi, il problema degli Albanesi come l’abbiamo speri­mentato un po’ tutti nella nostra Puglia. Io ho constatato tan­ta generosità questa estate da parte della gente: incredibile, dappertutto! Credo che questa sia una pagina storica che le nostre popolazioni pugliesi hanno scritto e che verrà ricordata per sempre, non soltanto dal popolo che è stato accolto. Però, ecco, all’interno di queste manifestazioni, anche a Molfetta, anche all’interno dei nostri gruppi Caritas, qualche volta mi è capitato di vedere un po’ di protagonismo. Talvolta lo si fa pure per sentirsi gratificati. Va bene, il Signore perdona e cancella anche queste piccole macchie. Però vedete, carissimi fratelli e sorelle, quando ci mettiamo al servizio della gente dobbiamo servire come è detto in latino nel Vangelo: «Nihil inde spe­rantes», «Senza attenderci nulla».

Nulla. Starei per dire neppure il Regno dei cieli.

Il Signore ce lo dà, perché ci mettiamo a lavare i piedi del mondo, ci pieghiamo, diventiamo Chiesa del grembiule, così come amo dire: Chiesa che si cinge il grembiule e si mette a lavare i piedi al mondo. Ma noi, quando laviamo i piedi al mondo, non dobbiamo aspettarci nulla: lavo i piedi al maroc­chino ma non devo aspettarmi che lui diventi cristiano, che gli tolga di tasca il Corano per infilargli il Vangelo. Tu lavagli i piedi, non ti preoccupare; poi, il Signore, lo Spirito Santo penserà a guidarlo sui sentieri che portano verso la conoscenza di Gesù.

Tu non ti preoccupare, fai questo servizio: non attenderti nemmeno il «grazie», niente; magari neppure dai tuoi superio­ri, dal tuo parroco, dalla tua superiora, oppure dalle tue amiche. Niente. Fai questo: accogli, perdona. Questo significa entrare nella logica del servizio.

Scuoti anche l’opinione pubblica! Qualche volta dai anche un po’ di fastidio ai poteri costituiti, perché facciano meglio il loro dovere, perché intervengano, perché non rendano come favore ciò che spetta alla gente come diritto.

Rompi l’anima alla gente, qualche volta. Servire i poveri non significa soltanto fare la carità, offrire un tetto, offrire un letto. Se offri il letto, non basta. Al povero che passa, devi dir­gli anche «buona notte». Se gli offri una minestra calda, digli anche «buon appetito». Magari non dargli la minestra in un piatto di plastica, e va’ a mangiare fuori sotto l’albero. Meglio, introducilo in casa tua, mettigli anche la tovaglia, e se hai un po’ di tempo, esci nel giardino e cogli un fiore, metti anche un vasetto di fiori sulla mensa: è ancora meglio. Perché non si vive solo di pane!

Il Signore e la Vergine Santa vi diano un cuore umano, un cuore capace di battere con i problemi del mondo, con i proble­mi del fratello più povero. Il Signore e la Vergine Santa ci diano la grande capacità di capire i problemi dell’altro.

Non giudicate la gente: mai! Maria non ha mai giudicato nessuno. Seguendo la logica del Signore, «non giudicate e non sarete giudicati».

Non giudicare nessuno: allarga piuttosto l’anima tua alla comprensione dei problemi altrui; mettiti nel corpo l’occhio del fratello per vedere il mondo dalla sua postazione, non dalla tua. In America Latina dicono «mettersi in corpo l’occhio dei poveri e guardare la storia dalla visuale, dell’angolo prospettico dei poveri». Io dico a voi: «Mettetevi in corpo l’occhio del fratel­lo». Probabilmente saremo più disponibili al perdono.

Dare la mano guardando negli occhi

All’inizio avete cantato: «Lungo la strada la gente è chiusa in se stessa. Va’, offri per primo la mano a chi è vicino a te». Ha subito preso la parola don Totò, mentre mi veniva in mente di dire, proprio all’inizio della Messa, di offrire la mano, di scam­biarsi subito un segno di amicizia: «Offri per primo la mano a chi  è vicino a te». Così come, fra poco ci daremo la mano: Scambiatevi un gesto di pace». Però qui è facile darsi la mano!

Qualche volta lo facciamo in modo assurdo. Diamo la mano senza neanche guardare negli occhi: chi capita capita. «Prendi ‘ste quattro dita!». Ma no! Offri per primo la mano e guarda negli occhi.

E tuttavia è facile farlo in un’assemblea liturgica. Difficile è farlo a Cursi, in paese, quando le cose fervono, quando i ribol­limenti interiori si manifestano.

Offri per primo la mano; va’, chiarisciti col tuo fratello; chie­digli che cosa c’è tra te e lui che non va: «Perché non mi parli da tanto tempo, cos’è successo?»

Questo lo devo fare io pure, e don Luca. Le cose che sto dicendo a voi, le devo fare pure io. Voi pensate che per me è più facile: no, è difficile pure per me!

Adesso che ci penso, so che quando torno a Molfetta anch’io devo andare a trovare qualcuno e dirgli: «Senti, è da parecchio che ti sfuggo  o che mi sfuggi. Perché? Cos’è successo?»

Questo è il servizio: «Ora et labora», «prega e mettiti al ser­vizio»!

Per un pezzo di grembiule

La Vergine dell’abbondanza conceda a tutti quanti noi una porzione di questa ricchezza di servizio, e ci faccia mettere il grembiule.

«Gesù, allora, si alzò da tavola, depose le vesti e si cinse un grembiule».

E la Vergine Santa, un pezzo del suo grembiule lo ritagli pure per noi.

Antologia degli Scritti, Parte 0 – La terra dei miei sogni, pgg. 519-532


Trascrizione online | A cura della  Redazione dontoninobello.info


DTB Channel | Related | AUDIO VIDEO


* DTB Channel | Audio Video | ha pubblicato in rete il video dell’Omelia nel maggio del 2012 con la data (in sovraimpressione) dell’11 luglio 1991.  Data ispirata in quegli anni dallo studio di alcuni abstract delle fonti audio donateci nel gennaio del 2009 dalla Fondazione Don Tonino Bello. Ci confronteremo quindi al più presto con * ED INSIEME in merito all’anno, che la * La terra dei miei sogni riporta, in nota editore, come 1990, al fine di pubblicare (eventualmente) sotto le note dei nostri video (Youtube e Vimeo) il dovuto errata corrige.

  1. A Cursi, in provincia di Lecce, sorge un santuario dedicato a Maria Santissima, venera­ta con il titolo di “Madonna dell’abbondanza”, a memoria di un’apparizione avvenuta nel luglio 1640. Don Tonino Bello ha frequentato il luogo sacro, recandosi appena dopo essere stato raggiunto dalla notizia della propria nomina episcopale. Anche due giorni prima di prendere possesso della diocesi di Molfetta, si è nuovamente recato a Cursi per affidarsi alla protezione della Madonna. Il testo, attinto dal registratore, si riferisce all’in­tervento di don Tonino dell’11 luglio 1990. Il rettore del Santuario, don Totò (Salvato­re) Mileti, invita il vescovo, suo compagno di studi, a presiedere l’Eucaristia in occasio­ne del 350° anniversario dell’apparizione della Madonna. L’omelia è tratta da DON TONI­NO BELLO, Santa Maria dell’Abbondanza. Serva di Dio e del mondo, Ed Insieme, Terlizzi 2011, 5-26