Un’amicizia bella (Carmine Curci)

1 Ci è pervenuto un biglietto di Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, nel casertano. Per due anni ha tenuto la rubrica La Croce del Sud, ma ora ci chiede di essere dispensato. Ci interroghiamo su un nome che lo possa sostituire. Siamo d’accordo su un punto: “Deve essere ancora un vescovo del Sud”. Abbiamo sentito parlare bene del giovane vescovo della diocesi di Molfetta, in provincia di Bari, e decidiamo che uno della redazione gli faccia visita.

Tre giorni dopo parto per Molfetta. Quando arrivo finalmente in questa bella cittadina marinara, passo davanti al molo e mi lascio stupire dall’imponente facciata del vecchio duomo vecchio, una delle più importanti chiese romaniche della Puglia. Mi indicano il vescovado. Parcheggio vicino al portone d’entrata. Suono, è proprio don Tonino che mi apre e mi dà il benvenuto, con il volto illuminato da un aperto sorriso.

Mentre siamo ai convenevoli, mi lascio distrarre da alcuni bambini che si rincorrono lì vicino. Anche lui li guarda, ma non distrattamente. Dice: «Sono arrivati ieri dal Marocco. Hanno bussato alla mia porta. Non sapevano dove andare. E così ho dato loro ospitalità». Poi, a modo di giustificazione, aggiunge: «Questa casa è così grande e silenziosa che un po’ di rumorosa allegria non guasta».

Mi chiede se voglio un caffè. Senza attendere la mia risposta, mi conduce in cucina dove prepara la moka. Conosce già Nigrizia. Gli chiedo: «Perché non scrive una rubrica mensile per noi?». Risponde: «Non me la sento. Ho mille altri pensieri per la testa. Devo occuparmi dei miei preti, della mia gente, soprattutto di coloro che bussano ogni giorno alla porta». Non demordo: «Non le stiamo chiedendo molto… una paginetta al mese». E lui, continuando con le “scuse”: «E poi mi hanno anche proposto la presidenza di Pax Christi». Ribatto: «Motivo in più per accettare!».

Sorride. Allarga le braccia e dice: «Va bene! Ci provo».

Cominciò così la grande e bella amicizia che ci avrebbe legato fino al termine della sua vita (l’ultima pagina su Nigrizia uscì nel gennaio del 1993). Dedicò il suo primo intervento sulla rivista a un «caro amico marocchino». Durante la telefonata che gli feci per ringraziarlo del pezzo inviatoci via fax, mi spiegò: «Lo vidi la prima volta una sera d’inverno, mentre tornavo a casa da una visita ad una parrocchia. Era rannicchiato in una macchina parcheggiata vicino al duomo».

Nella sua “lettera”, don Tonino aveva scritto: «Perdonaci, fratello marocchino, se noi cristiani non ti diamo neppure l’ospitalità della soglia. Se nei giorni di festa non ti abbiamo invitato a mensa con noi. Se, a mezzogiorno, ti abbiamo lasciato sulla piazza, deserta dopo la fiera, a mangiare in solitudine le ulive nere della tua miseria». Da allora, tutti gli immigrati sarebbero stati costantemente al centro della sua attenzione.

Semplicità, coraggio, donazione

Spesso il suo fax non funzionava. Così, il giorno stabilito, verso mezzanotte («Non prima – m’aveva pregato –. Prima sono occupato»), lo chiamavo al telefono perché mi dettasse il pezzo. Gli chiedevo: «È pronto?». E lui, immancabilmente, rispondeva: «Sì». Ma poi mi accorgevo che parlava senza leggere.

Le parole gli uscivano spontanee. Faceva lunghe pause, ma soltanto un paio di volte mi chiese di tagliare una frase per sostituirla con una meglio formulata. Concludeva sempre così: «Ed ora, vedete voi… Fate e disfate come credete meglio». Ma non c’era bisogno di rivedere quanto ci aveva dettato. Le sue frasi scorrevano veloci, lineari, e sempre piene di passione e di amore ora per un operaio di una fabbrica d’armi, ora per Tommaso disoccupato, ora per Anna Maria con un figlio handicappato, ora per Angela rimasta vedova a trent’anni…

Una notte, sempre al telefono, mi disse: «Questa volta vorrei dedicare la rubrica a voi missionari… Una “lettera circolare”, nel senso che desidererei che faccia l’intero giro del mondo… Sì, una sorta di enciclica… non certo per l’importanza del messaggio e neppure per l’autorevolezza del mittente, ma per la dimensione planetaria dei destinatari». E cominciò a dettare: «Cari missionari, grazie. Grazie, perché ci provocate all’essenziale. E perché, tra i percorsi alternativi che conducono al Regno, ci indicate i rettilinei della semplicità, del coraggio e della donazione totale».

Pieni di poesia – ma anche di sottile critica – i suoi “inni” alla Madonna. Un esempio: «Maria, Icona dell’antiretorica, non posa per nessuno. Neppure per il suo Dio. Tanto meno per i predicatori che l’hanno spesso usata per gli sfoghi della loro prolissità».

Nel 1989, lo invitammo a partecipare all’incontro dei Beati i costruttori di pace all’Arena di Verona. A lui fu affidato l’intervento principale. Fu un messaggio profetico. Davanti a migliaia di persone, con forza ed entusiasmo gridò: «Il popolo della pace non è un popolo di rassegnati. È un popolo pasquale, un popolo che sta in piedi. In piedi, costruttori di pace! Sarete chiamati figli di Dio».

In piedi ci ha lasciati il 20 aprile del 1993. E in piedi noi, popolo della pace, continueremo a credere e ad amare la pace. Grazie, don Tonino.

Carmine Curci


Trascrizione online | A cura della  Redazione dontoninobello.info

 

  1. * Nigrizia, aprile 2013