Preghiera sul molo * La lampara

1 Questa sera, Signore, voglio pregarti ad alta voce.
Tanto, all’infuori di te, non mi sente nessuno.
Anche l’ultima coppia di innamorati se n’è andata
infreddolita dalla brezza d’ottobre che viene dal mare.
E qui, dietro il muraglione del porto,
in questo crepuscolo domenicale,
non siamo rimasti che io e te, o Signore.
E sotto, queste onde che lambiscono i blocchi di cemento
e sembrano chiedermi stupite
il perché di tanta improvvisa solitudine.

Tricase è alle mie spalle. Davanti solo il mare:
un mare senza vele e senza sogni.
Domani, Signore, avrò la forza di pregarti per il mare,
per questo mare di piombo che mette paura,
per questo simbolo opaco del futuro che mi attende.
Stasera, invece, voglio pregarti
per ciò che mi lascio dietro,
per la mia città di Tricase,
per questa terraferma tenace,
dove fluttuano ancora … le mie vele e miei sogni.
Non ti annoierò con le mie richieste, Signore. 

Ti chiedo solo tre cose. Per adesso.
Dai a questi miei amici e fratelli
la forza di osare di più.
La capacità di inventarsi. La gioia di prendere il largo.
Il fremito di speranze nuove.
Il bisogno di sicurezze
li ha inchiodati a un mondo vecchio, che si dissolve,
così come hai inchiodato me su questo scoglio, stasera,
col fardello pesante di tanti ricordi.
Dai ad essi, Signore, la volontà decisa
di rompere gli ormeggi.
Per liberarsi da soggezioni antiche e nuove.
La libertà é sempre una lacerazione!
Non è dignitoso che, a furia di inchinarsi,
si spezzino la schiena per chiedere un lavoro «sicuro».
Non è giusto attendersi dall’alto le «certezze»
del ventisette del mese.
Stimola in tutti, nei giovani in particolare,
una creatività più fresca, una fantasia più liberante,
e la gioia turbinosa dell’iniziativa
che li ponga al riparo da ogni prostituzione.

Una seconda cosa ti chiedo, Signore.
Fa’ provare a queste gente che lascio
l’ebbrezza di camminare insieme.
Donale una solidarietà nuova, una comunione profonda,
una «cospirazione» tenace.
Falle sentire che per crescere insieme
non basta tirar dall’armadio del passato
i ricordi splendidi e fastosi, di un tempo,
ma occorre spalancare la finestra del futuro
progettando insieme, osando insieme,
sacrificandosi insieme.
Da soli non si cammina più.
Concedile il bisogno di alimentare
questa sua coscienza di popolo
con l’ascolto della tua parola.
Concedi, perciò, a questo popolo, la letizia della domenica,
il senso della festa, la gioia dell’incontro.
Liberalo dalla noia del rito, dall’usura del cerimoniale,
dalla stanchezza delle ripetizioni.
Fa’ che le sue Messe siano una danza di giovinezza
e concerti di campane,
una liberazione di speranze prigioniere
e canti di chiesa,
il disseppellimento di attese comuni
interrate nelle caverne dell’anima.

Un’ultima implorazione, Signore.
È per i poveri.
Per i malati, i vecchi, gli esclusi.
Per chi ha fame e non ha pane.
Ma anche per chi ha pane e non ha fame.
Per chi si vede sorpassare da tutti.
Per gli sfrattati, gli alcolizzati, le prostitute.
Per chi è solo. Per chi è stanco.
Per chi ha ammainato le vele.
Per chi nasconde sotto il coperchio
di un sorriso cisterne di dolore.
Libera i credenti, o Signore,
dal pensare che basti un gesto di carità
a sanare tante sofferenze.
Ma libera anche chi non condivide le speranze cristiane
dal credere che sia inutile spartire il pane e la tenda,
e che basterà cambiare le strutture
perché i poveri non ci siano più.
Essi li avremo sempre con noi.
Sono il segno della nostra povertà di viandanti.
Sono il simbolo delle nostre delusioni.
Sono il coagulo delle nostre stanchezze.
Sono il brandello delle nostre disperazioni.
Li avremo sempre con noi, anzi, dentro di noi.
Concedi, o Signore, a questo popolo cha cammina
l’onore di scorgere chi si è fermato lungo la strada
e di essere pronto a dargli una mano
per rimetterlo in viaggio.

Adesso, basta, o Signore: non ti voglio stancare,
è già scesa la notte.
Ma laggiù, sul mare,
ancora senza vele e senza sogni,
si è accesa una lampara.

14 Novembre 1982



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