Con mani bucate e piedi forati (1989)

1 Era cominciata la Quaresima, ed io scrissi ai fedeli della mia diocesi una lettera intitolata: «Dalla testa ai piedi», perché la Qua­resima è incastonata proprio tra due riti che partono dalla testa (imposizione delle Ceneri), e finiscono con la lavanda del giovedì santo. Il cammino della Quaresima è incastonato proprio tra questi due termini: dalla testa ai piedi; e la strada è molto più lunga di quello che si può pensare, perché si tratta di andare dalla testa propria ai piedi degli altri: che strada lunga, incredibile! Per percorrerla non bastano nemmeno quei quaranta giorni.

Io pensavo, però, che la faccenda dei piedi finisse con il giovedì santo: quando, cioè, Gesù ripete quel rito dodici volte: il versare l’ac­qua dalla brocca, l’asciugare, e quel bacio sui piedi dell’apostolo. Ma poi mi sono accorto che continua dai piedi degli altri ai piedi di Gesù.

Avete ascoltato nel Vangelo: le donne, riconosciuto Gesù, «gli strinsero i piedi e lo adorarono»: sorelle, sta tutto qui il segreto! Stringere i piedi di Gesù: io non so se la sera del giovedì santo, dopo che Gesù ebbe ripreso le vesti, qualcuno dei dodici si sia alzato da tavola e con la brocca e l’asciugatoio sia andato ai piedi di Gesù, gli abbia tolto gli strumenti del servizio e abbia detto: «Maestro, siediti adesso, adesso noi li laviamo a te!». Probabilmente non è accaduto.

C’è da supporre, comunque, che durante i tre giorni dopo la sua morte non abbiano fatto altro che pensare a quella mancanza di delicatezza: di non essere stati capaci di ricambiare quella tenerezza del Signore; e abbiano sempre pensato a questo, tanto è vero che le donne, appena vedono Gesù, per prima cosa si chinano sui suoi piedi: «Gli strinsero i piedi e lo adorarono». Ho preferito che si leggesse la redazione di Matteo, che abbiamo ascoltato il giorno di Pasqua ed il lunedì di Pasqua, perché mi sembra molto bella, nel suo testo. «Gli strinsero i piedi»: non dice: «Gli baciarono le mani», né: «Gli si avvinghiarono al collo». No: «i piedi». Erano già bagnati di rugiada i piedi di Gesù, ed allora le donne glieli asciugarono con l’erba del prato e con le loro vesti glieli scaldarono: quasi a risarcire il Maestro (magari in ritardo) di una tenerezza che gli era stata negata nella morte.

Fortunatamente avevano portato con loro anche i profumi, gli olii, e versarono tutto quell’olio sui piedi di Gesù; quell’olio che veniva avidamente inghiottito da quei due ostensori. Ci dove­va essere anche tanto timore in quel ritardo degli apostoli, però: forse la Chiesa nascente, rappresentata dalle due Marie, prima di cadere in avanti nel gesto dell’adorazione, aveva voluto aspettare di proposito che Gesù riprendesse le vesti: «Riprendere le vesti», per Giovanni, non è l’indicazione del fatto che Gesù rimette l’abito che aveva deposto prima di lavare; significa la Resurrezione.

Forse la Chiesa nascente ha voluto aspettare che Gesù riprendesse le vesti, che aveva momentaneamente deposto, prima di compiere questo gesto. La Pasqua sta tutta qui.

Sorelle, io dietro di voi vedo un monastero invisibile.

Alle sorelle alle quali voi prestate il servizio della presidenza, ditelo con rabbia, con gioia, con spasimo, che la nostra Pasqua sta tutta in quella frase; nell’abbracciamento di quei piedi sta la nostra Pasqua, anche il nostro servizio, la nostra carità.

Oggi forse parleremo di tanti argomenti, di drogati, di malati di AIDS, di ragazze madri, di servizi che dobbiamo esprimere; però la radice sta qui: in quell’abbracciamento dei piedi. Non c’è da illudersi: l’abbracciamento di quei piedi è la cifra interpretativa di tutto il no­stro servizio reso al mondo. Senza questa dimensione, espressa proprio da quel gruppo di donne, senza questa dimensione orante, sare­mo capaci anche di organizzare grandi cose, ma saranno girandole appariscenti di sussulti pastorali, non saranno cose valide per il Regno.

Se non afferriamo i piedi di Gesù, lavare i piedi ai marocchini, agli sfrattati, ai tossici non basta, e non basta più lavarsi i piedi gli uni gli altri. Lavare i piedi gli uni gli altri: perché la brocca, l’asciugatoio, il catino non sono strumenti da esportazione, vanno adoperati all’interno del Cenacolo.

Se la preghiera non ci fa contemplare speranze ultramonda­ne attraverso quei fori lasciati dai chiodi, battersi per la giustizia, lottare per la pace, schierarsi con gli oppressi può rimanere soltanto una retorica estenuante. Se, caduti in ginocchio, non interpelleremo quei piedi sugli orientamenti ultimi da dare ai nostri piedi, ai nostri passi, giocarsi il tempo libero nel volontariato rischia di diventare ricerca di sé e motivo di vanagloria. Se l’adorazione dinanzi all’ostensorio di quelle due stimmate, ostensorio luminoso, non ci fa scavalcare le frontiere delle semplici dichiarazioni terrene, impegnarsi per la promozione dei poveri potrà rasentare perfino il pericolo dell’esercizio di potere, perché ci serviremmo dei poveri per il nostro aspetto, per sfondare nella credibilità degli altri.

Non basta avere le mani bucate, ci vogliono anche i piedi forati: di nessuno si dice che ha i piedi forati.

Ma che cosa vuol dire che ci vogliono i piedi forati? Vuol dire una cosa essenziale: è per questo che quando Gesù è apparso la prima volta nel cenacolo mostrò loro le mani ed i piedi, quasi per sottolineare la simbologia di quei due mondi complementari: che senza l’uno e l’altro ogni annuncio di resurrezione sarà sempre morto, sarà sempre mortificato. Aggiunse Gesù: «Guardate le mie mani e toccate i miei piedi, sono proprio io»: mani bucate e piedi forati, con tanto di marchio. Ecco le coordinate essenziali per ricostruire la carta di identità del risorto, la carta di identità di Gesù risorto: le mani e i piedi. Mani bucate, per noi, che deve significare? Ridonare quell’inesauribile carità verso i fratelli che si fa donazione a fondo perduto per tutte le suore, la Chiesa, il mondo: questo aspettano da noi, le mani bucate.

Ma anche piedi forati. Che cosa sono per noi i piedi forati? Il Signore, che ci fa scorgere il senso ultimo delle cose attraverso le feritoie di quella sua carne trasfigurata. È come, per noi, mettere l’occhio in quei fori dei piedi, per vedere se li muove; e farli muovere. Dove va a finire la storia, che senso ha la malignità, che senso ha l’amore?

L’amore aiuta i ragazzi che si vogliono bene. Che senso ha la morte? Che senso ha il dolore, che senso ha la sofferenza di Francesca, una ragazza dolcissima, splendida, della mia diocesi, di 20 anni, che spero sopravviva. Che senso ha? La carrozzella degli handicappati, dove va a finire? Quale traguardo taglierà? Tutte le carrozzelle degli handicappati, che senso hanno? La perdita di una donna sulla strada, che senso ha? La vostra tenerezza di madri e di vergini, quali sbocchi ha?

Una feritoia piccolissima, più piccola delle feritoie dei nostri castelli o dei campanili.

Ecco, sorelle, mani bucate; ma ricordatevi che non basta, non basta se non avete anche i piedi bucati e se non vi innamorate dei piedi di Gesù. Mani bucate e piedi forati: le coordinate giuste per ricostruire la carta di identità di Gesù risorto.

Trascrizione online | A cura della  Redazione dontoninobello.info

 

  1. * «Consacrazione e Servizio, 1989, n. 7-8, p. 7- 10. Omelia pronunciata il 1° aprile 1989 a Roma, presso l’Istituto «Augustinianum», durante la 36″ Assemblea Generale dell’USMI.